mercoledì 5 ottobre 2011

Verità

Il problema, l'unico vero grande problema, è che si ama a prescindere dall'essere ricambiati.

martedì 4 ottobre 2011

...

Ora che sto così rappresa nella posizione di chi non considera le conseguenze dei suoi errori vorrei sapere a che valgono i giorni spesi per gli altri quando è solo in me stessa, nel groviglio dei miei fraintendimenti che ritrovo un ordine. Che può saperne un uomo della perfezione che esiste in un singolo istante e dell’incapacità ad accettare il tempo che non contiene la stessa precisione di quell’istante. Sarei disposta a ritrovarlo anche se ciò dovesse significare distruggere tutto il resto. E se alla fine non dovesse esserci niente lo disegnerò su un muro di cristallo per poi distruggerlo. Forse allora mi convincerò che quello che ho sempre cercato non esiste più.

martedì 26 luglio 2011

pensieri notturni

Fingevo che tutto andasse bene
e a te bastava sapermi al tuo fianco.
Ignoravi il perchè dei silenzi,
delle guance rigate.
Sicuro forse che dipendessero da te.
Ingenuo credevi che fosse amore
questo teatrino di vinti.
Non vedevi che intorno
l'aria imbruniva e disegnavi trame
spente dall'ultimo soffio di vento.
In fondo che importa
se dopo cala il sipario?
Non siamo forse buffoni che vivono
di sprechi per accontentarsi
infine di inutili scarti?

Amare et Bene velle

Facile è l'innamorarsi. Ci si potrebbe innamorare in ogni istante. I latini, di cui purtroppo abbiamo dimenticato la lingua, distinguevano 'amare' e 'bene velle'. Amare è avere bisogno di ciò che fa stare bene. E' esigenza fisica dell'altro. Voler bene è arduo. Significa desiderare spassionatamente e senza condizioni il benessere dell'altro, anche a discapito del proprio. E' un coinvolgemento di testa e di cuore. Non egoistica esigenza. Ma un darsi senza condizioni. Senza pretendere nulla in cambio. E di fronte al divario che divide le due condizioni si resta come spaesati. E' come buttarsi in un burrone sperando di prendere il volo. C'è chi resta sul ciglio. Chi cade. E chi, invece, prende il volo davvero. Peccato solo che non si può mai sapere prima con c'è dall'altra parte. E spesso capita di trovare quel che meno ci si aspetta.

sabato 2 aprile 2011

Epitaffio


Immagina, in una moviola silenziosa, il momento in cui spingi il bicchiere di cristallo e sai che si frantumerà. In quel momento non può consumarsi un addio. Non è la volontà di rompere il bicchiere o il gesto o il vederlo prendere il volo che determina la fine. La fine è nel momento in cui avviene l'impatto e si frantuma in mille pezzi.
Così è stato per noi. La caduta è durata tanto. Ma alla fine è avvenuto l'impatto. E solo adesso il vetro è diventato grigio, tagliente. Solo adesso vedo i frammenti di quello che è stato e sorrido. Quando tutto finisce è dolce poter vedere ancora la purezza del cristallo, la bellezza racchiusa in forme che si disegnavano in due. Resta il vuoto che lascia una carezza quando sa sfiorare il cuore e poi viene a mancare. Resta il retrogusto delle parole consumate a progettare un futuro sfumato. Restano gli scatti di ogni sorriso. Le note con cui dipingevi l'amore. La forma di una parte della tua vita nella mia.
Così ti ho immortalato. Tale ti racconto. Questo è quanto devo per tutto il bene che sei stato. Addio.

A Claudio

mercoledì 16 marzo 2011

Riflessi in bit

Di te conoscevo soltanto
i bit delle parole
inviate dal tuo al mio
schermo.
Conoscevo quel broncio,
difetto forse
di un animo inquieto,
sul viso.
E immaginavo le labbra
mie sulla curva
del tuo umore deluso,
irritato.
Volevo diventasse reale
quel nostro
gioco di forze distanti
ma vive.
Non capivi perchè negassi
la mia immagine
in vitro, spogliata
di me.
Non mi bastava il surrogato
di un rapporto
non ancora consumato
ma intenso.
E adesso mi lasci, cattivo,
oltre lo schermo,
rimandi all'incertezza del poi
l'oggi.
Di te Musa per quel poco
ch'è bastato
ad immaginare una storia
inconclusa.
Ed ora amante insoddisfatta,
vedo correre
sullo schermo l'ennesimo riflesso
vuoto di te.

domenica 17 ottobre 2010

Il cielo brucia sopra di noi

La strada gli si srotolava davanti come un nastro d’asfalto rovente. Carcasse di bovini morti ne punteggiavano i bordi. Tutt’attorno il silenzio, nient’altro, il cielo una massa di ardesia cinta di fiamme.
Quando giunse dinanzi alla stazione di servizio si fermò a guardarne la struttura abbandonata senza spegnere il motore del pick-up. La vetrata ridotta in frantumi, i muri imbrattati di scritte che inneggiavano alla rivoluzione. Dirimpetto al bar pendeva storta la cabina del telefono, la terra soffice aveva ceduto da un lato.


Dalla cornetta un ronzio. Poi un suono, simile ad una voce umana, per quanto potesse ricordare come fosse. La sigaretta gli cadde ancora accesa sul pantalone bisunto. Qualcuno, da chissà dove, attraverso gli impulsi elettrici che viaggiavano sotto quella terra malsana, trasmetteva il segno della sua presenza in quella cornetta. Il ricordo di tanti anni addietro lo teneva bloccato, dimentico ormai di ogni emozione. Il ricordo di quella notte, quando era fuggito con gli altri rivoluzionari, gli rigò d’un tratto la vista.
Dopo l’esplosione, erano stati rinchiusi tutti nel recinto di Barnaba, dove avevano vissuto come schiavi del Regime. Nessuno sapeva cosa era rimasto fuori. Ma tutti intimamente avrebbero preferito rischiare la morte in quell’incognita, piuttosto che vivere simili a nudi vermi sguazzanti nel fango, privati dei rapporti, della dignità, dei desideri, irriconoscibili a loro stessi.
Sulla via del totale annichilimento i più, solo in alcuni la voglia di vivere aveva continuato a pulsare. Avevano imparato a parlare con gli occhi, senza mai la certezza che l’altro annuendo condividesse proprio lo stesso pensiero. E chini nel fango e in silenzio, dodici di loro avevano organizzato la fuga. Tra quelli, c’era lei. Lei di cui ignorava il nome o la voce. Lei che amava per quel tanto che scorgeva nel riflesso dell’acqua impantanata accanto a lui.
Avevano aspettato la notte. Al cambio di guardia avevano lasciato il loro posto, trascinandosi sugli arti atrofizzati. Erano riusciti a scaraventarsi dalle mura. Scoperti quasi subito, si erano dispersi nel buio, sotto una pioggia di proiettili. Non aveva saputo più niente degli altri. Se fossero morti o se qualcun altro, oltre lui, era riuscito a salvarsi. Non aveva mai saputo nulla di Lei. Da due anni esplorava quel deserto senza vita – a parte la sua –, rincorrendo la speranza o forse l’illusione di trovare anche soltanto il segno di un passaggio recente.
E mentre ripercorreva con la sua mente quelle strade tante volte battute, la voce parlava in quella cornetta. Si avvicinò. – C’è qualcuno? – Una donna! Lei. Era viva.

Alessandra Neglia

(Teatro Kismet Opera - Concorso 2011 battute per un anno di teatro)

sabato 25 settembre 2010

senza titolo



domandalo al tempo
domandalo al verso
della bocca quando rattristata
si stringe
in una smorfia ridicola
se non pesa
il vuoto
della bolla di sapone
quando dolcemente
sfiora la superficie delle cose
e lascia l'odore
e il fresco di un nuovo amore

mercoledì 15 settembre 2010

Sulla penetrazione dell'arte e dell'anima

Un critica che presume di illustrare l'opera d'arte in realtà la frantuma, la corrompe, la guasta. La critica, invece, deve entrare nell'opera, appropriarsi delle sue leggi ed esporre di nuovo ciò che essa ha esposto, portandola a compimento.
Allo stesso modo descrivere un uomo significa frantumare, corrompere e guastare la sua unicità. E' necessario addentrarsi nell'animo, far propri i suoi meccanismi e restituire quello stesso movimento interiore, realizzandolo all'esterno.

domenica 12 settembre 2010

Il mondo possibile

La vita, come una storia d'invenzione, è sottesa da un'immensa struttura fatta di caselle vuote, di percorsi non esplorati e l'uomo può su questa struttura di base ricamare infinite trame utilizzando sempre le stesse poche funzioni semantiche. La trama che in un dato momento si sta costruendo rappresenta solo una delle storie, uno dei mondi possibili. Quest'operazione è concepibile solo presupponendo una rimessa in discussione totale e costante di queste semantiche. Ogni scelta, ogni passo, ogni parola va discussa prima e dopo la sua esternazione. Io reputo questo un atto di estrema libertà. L'incontro/scontro con l'altro e con il suo mondo non può che creare un turbamento nella tessitura del mio. Un turbamento tale che ho sempre ritenuto opportuno sottoporre ad analisi e ridiscussione la mia storia, le miei convinzioni, i miei stati metali alla luce di quelli dell'altro. E così è stato con te. Ho buttato giù due righe, per rileggerle da sola, in lontananza, controluce. Erano belle. E così ho continuato a scrivere sapendo che non avrei avuto il tempo di completare l'opera. Ma l'ho fatto comunque, poichè interrompere la bellezza di un incontro sarebbe come privare la struttura della propria energia. Non so quanto tu abbia percepito l'interrogazione che ho posto. Sei una trama, un mondo possibile. E non è poco essere un mondo possibile nell'universo dell'altro. Non una stella, un pianeta morto, una polvere, ma un mondo pullulante di vita. Combatti te stesso e le tue incertezze. Disabituato all'attenzione come all'amore. Straniero nella competizione con l'altro che comporta annullamento e reinvenzione di sè. Ma io non cerco la semplice normalità: indago il non-comune, il frantumato e il frantumante. Poichè penso che è nella rottura il punto di partenza per il conseguimento della libertà e il godimento pieno. Io posso essere libero nel momento in cui non solo brucio un trama, ma scompongo l'ordine delle caselle nella struttura, perchè posso decidere come e perchè. Io credo che tu percepisca il disagio e tenti di esorcizzarlo invece che cavarne energia. Mi hai chiesto più volte, in questo tempo che abbiamo condiviso, di definire verso dove stavamo andando, come sarebbe stata l'opera una volta completa. Io non ho risposto. Non esiste una risposta. Io continuerò certamente a scrivere, poichè non sono abituata ad interrompere una trama se questa porta ancora significazione e bellezza. Tendo a te perchè voglio ancora abitare questo mondo possibile. Non sei la giustificazione di una scelta, ma la scelta stessa.

domenica 23 maggio 2010

Senza titolo



stanotte ho scritto due poesie
stanotte ho pianto due volte
ho sorriso due volte
ho fatto due volte il giro del mondo
ho infranto due sigilli
raccontato due volte la stessa storia
cercato due volti
due approcci
due scorci
due soluzioni
e io
una
e sola
non potevo scindere
il nero dal bianco
e annegavo nell'incoerenza
di un grigio informe

il rosso
volevo il rosso
in quel tramonto
volevo cancellare il resto
affinchè tutto
tutto diventasse rosso
come il sangue

cantami o dea
di un'anima infranta
quando in mare
più non ritrova
la sua stella
e vaga per l'acque
perigliose e ardue
senza meta
cantami della divina notte
che con sè
porta la pace
oppure l'amore
canta il senso informe
di questo nostro vagar quieti
verso la fine
che tutto cancella
e tutto scolora

io adesso prendo in giro il poeta
e il suo verso sciolto
prendo in giro me
e te diva beata
che di tanto nuocer
al cuor dell'uomo
ti pasci e ti nutri

vieni beata notte
dalla tua bambina
vieni dalla tua protetta
e lascia che riposi
tra le tue materne braccia
solo qualche ora
prima dell0ennessima battaglia

giovedì 20 maggio 2010

Io non esisto

Di cosa
il tuo pensiero
si va colorando?
di quali impronte
percorri la strada?
il filo
che tieni sospeso
da me a te
è un fumo
seducente e denso
che ricalca
nel vuoto
un sospiro rubato.
Di cosa vai sognando
stanotte?
Io non esisto.

martedì 16 marzo 2010

Già...



E proprio io
che di smania
quasi morivo all'idea
di immortalare
tra le dita
il tuo caffè
ora respiro il fumo
e bevo
quel che resta
sul fondo di te.

martedì 2 febbraio 2010

Postmodernismo

Desiderare come privazione della gioia che sottende l'appagamento,
nominare l'oggetto della privazione sapendo che quel nome non è l'oggetto,
rintracciare il senso per equazioni addizionali,
scavare tra le rovine per rinnovarsi in un non-tempo,
strutture che si moltiplicano nel coito della storia,
tanti e tali sono i crucci dell'uomo d'oggi,
e tuttavia si procede senza definizioni, senza certezze,
minuscoli e sospesi tra la scienza e i filosofi,
vite interrotte e sentimenti riprodotti in vitro.

sabato 2 gennaio 2010

Jacques Lacan

Quando l'essere amato va troppo lontano nel tradimento di se stesso e persevera nell'inganno di sé, l'amore non lo segue più.

venerdì 1 gennaio 2010

Buon Anno!

Il passaggio è attuato. Abbiamo consultato i pronostici. Bevuto. Festeggiato. Qualcuno ha lasciato il segno della propria esistenza tra un muretto e quattro lamiere contorte. E così stanotte, erano da poco passate le quattro, guidavo verso casa. Il sonno non si faceva sentire. Facciamo un giro. Raccogliamo testimonianze delle ultime scintille di festa. Passato il morto con le sirene sulla destra, via verso il paese deserto. Poi verso casa di nuovo. Incontriamo qualche faccia nota. Un'altro imbecille non ha ben fatto i conti con la strada. Meglio andare a dormire. Ma il sonno tarda arrivare e scavando nella mente, tra immagini annebbiate, risento l'odore del vomito di Simona, rivedo la gamba rotta di Ambrogio, la voce di Arcangelo mentre lo accompagna in ospedale. Rivedo Claudio con la mano sulla fronte di Angelo. Evviva! Buon anno! Già... buon anno... se sono questi i presupposti, c'è poco da sperare. Ok basta! Sta arrivando il sonno. Meglio rincorrere un altro inizio, meno reale, meno annebbiato. Sì meglio... vieni Orfeo, portami via. Sono tua stanotte.

venerdì 25 dicembre 2009

Il Natale di un'atea

Ore 20,54. Oggi è Natale. Anche per me, atea per convinzione. Io odio il Natale. Odio la gente a Natale. I pranzi. Le cene. I parenti. Gli amici. E' tutto confezionato, come un pacco enorme che devi trascinarti dietro per tre giorni consecutivi. Nessuno spazio all'immaginazione.
Io per esempio avrei voluto passeggiare con lui tutto il pomeriggio con la neve che scendeva a fiocchi. Progettare la nostra vita tra i rami degli alberi. Poi scaldarsi, l'uno con l'altra. E la sera, seduti davanti al caminetto, un calice di vino, un buon libro da leggere in due e nell'aria già l'odore del dopo.
E invece sono qui che scrivo di quanto mi mi sia rotta oggi le palle e di quanto, forse per predeterminazione o per mia impostazione mentale, rincorrerò la fine di questa giornata. E' la routine che mi sfianca. Emblematica giornata: ricostruzione di una nascita avvenuta migliaia di anni fa, ogni anno uguale e ogni volta inutile! Amen.

martedì 8 dicembre 2009

Fotografia

Davanti l'amico,
un caffè, qualche parola.
Scatti la fotografia.
L'immagine è impressa.
Pochi dettagli,
quasi senza peso.
Poi la rivedi
e non la riconosci.
Gli stessi dettagli
non fluttuano più
nell'attimo casuale.
I colori più accesi.
La ruga e il sorriso.
Sei lì senza saperlo.
Non sei più il fotografo
nè il soggetto.