domenica 17 ottobre 2010

Il cielo brucia sopra di noi

La strada gli si srotolava davanti come un nastro d’asfalto rovente. Carcasse di bovini morti ne punteggiavano i bordi. Tutt’attorno il silenzio, nient’altro, il cielo una massa di ardesia cinta di fiamme.
Quando giunse dinanzi alla stazione di servizio si fermò a guardarne la struttura abbandonata senza spegnere il motore del pick-up. La vetrata ridotta in frantumi, i muri imbrattati di scritte che inneggiavano alla rivoluzione. Dirimpetto al bar pendeva storta la cabina del telefono, la terra soffice aveva ceduto da un lato.


Dalla cornetta un ronzio. Poi un suono, simile ad una voce umana, per quanto potesse ricordare come fosse. La sigaretta gli cadde ancora accesa sul pantalone bisunto. Qualcuno, da chissà dove, attraverso gli impulsi elettrici che viaggiavano sotto quella terra malsana, trasmetteva il segno della sua presenza in quella cornetta. Il ricordo di tanti anni addietro lo teneva bloccato, dimentico ormai di ogni emozione. Il ricordo di quella notte, quando era fuggito con gli altri rivoluzionari, gli rigò d’un tratto la vista.
Dopo l’esplosione, erano stati rinchiusi tutti nel recinto di Barnaba, dove avevano vissuto come schiavi del Regime. Nessuno sapeva cosa era rimasto fuori. Ma tutti intimamente avrebbero preferito rischiare la morte in quell’incognita, piuttosto che vivere simili a nudi vermi sguazzanti nel fango, privati dei rapporti, della dignità, dei desideri, irriconoscibili a loro stessi.
Sulla via del totale annichilimento i più, solo in alcuni la voglia di vivere aveva continuato a pulsare. Avevano imparato a parlare con gli occhi, senza mai la certezza che l’altro annuendo condividesse proprio lo stesso pensiero. E chini nel fango e in silenzio, dodici di loro avevano organizzato la fuga. Tra quelli, c’era lei. Lei di cui ignorava il nome o la voce. Lei che amava per quel tanto che scorgeva nel riflesso dell’acqua impantanata accanto a lui.
Avevano aspettato la notte. Al cambio di guardia avevano lasciato il loro posto, trascinandosi sugli arti atrofizzati. Erano riusciti a scaraventarsi dalle mura. Scoperti quasi subito, si erano dispersi nel buio, sotto una pioggia di proiettili. Non aveva saputo più niente degli altri. Se fossero morti o se qualcun altro, oltre lui, era riuscito a salvarsi. Non aveva mai saputo nulla di Lei. Da due anni esplorava quel deserto senza vita – a parte la sua –, rincorrendo la speranza o forse l’illusione di trovare anche soltanto il segno di un passaggio recente.
E mentre ripercorreva con la sua mente quelle strade tante volte battute, la voce parlava in quella cornetta. Si avvicinò. – C’è qualcuno? – Una donna! Lei. Era viva.

Alessandra Neglia

(Teatro Kismet Opera - Concorso 2011 battute per un anno di teatro)